Maryse Condé aveva 90 anni. Nei suoi romanzi il racconto dell’identità e delle lotte della sua terra d’origine
Nei libri di Maryse Condé si parla di razza, identità, esilio, radici, ineguaglianze e memoria, senza idealizzazioni e tematiche di stringente attualità, soprattutto dopo recenti proteste che dagli USA si sono propagate in tutto il mondo.
Maryse Condé viveva a Gordes, un piccolo villaggio provenzale nella regione di Vaucluse, nel sud della Francia. Affetta da una malattia neurodegenerativa, vi si era trasferita con il marito negli anni Ottanta. È lì che ha dettato il suo ultimo libro a un amico, Il Vangelo del Nuovo mondo, pubblicato in Italia da Giunti, la sua riscrittura del Nuovo Testamento.
Ma chi è Maryse Condé, scrittrice antillana a cui si devono iniziative come l’istituzione della giornata per la commemorazione della schiavitù e della sua abolizione?
La scrittrice Maryse Condé
Nata in Guadalupe nel 1937, ha studiato alla Sorbona e poi è diventata insegnante alla Columbia University ma prima ha viaggiato in Africa alla ricerca di radici volontariamente rimosse dalla famiglia discendente da schiavi africani nelle Antille.
Solo all’età di 42 anni, dopo dodici anni di vita e di stenti in Africa e grazie al suo nuovo compagno, Richard Philcox, che divenne il suo traduttore, iniziò a scrivere. Nel 1976 pubblica Hérémakhonon, seguito da Ségu (1984-1985), un bestseller sull’impero Bambara nel Mali del XIX secolo.
Segu racconta le vicende di emancipazione di una famiglia dal regno bambara del 18° secolo all’avanzare dell’Islam fino alla diaspora verso il resto del mondo (e ritorno).
Tematiche simili affronta anche La vita perfida che nel 1988 ha vinto il premio Anaïs Nin. Che sia un romanzo, un racconto, un’opera teatrale o un articolo per la stampa, Maryse Condé affronta di petto le questioni del colonialismo, le sue conseguenze e le sue persistenze nel mondo contemporaneo.
In una recente intervista rilasciata al Guardian, ha ammesso che solo da adulta ha trovato coraggio, capacità e forza per osservare il mondo con lo sguardo di una persona colonizzata.
I genitori veneravano la Francia come il miglior posto al mondo e non le parlavano di schiavitù o colonialismo da bambina. Eppure proprio in Francia Maryse scopre il pregiudizio: “Le persone mi credevano inferiore perché ero nera. Ho dovuto dimostrare che il colore della pelle non conta – quel che conta è nel tuo cuore e nel tuo cervello.”
Sebbene nei suoi libri spesso rifletta sul passato, attraversando luoghi e epoche storiche molto diversi, è sempre con uno sguardo lucidissimo sul presente che scrive: “Non potrei scrivere qualcosa che non abbia un significato politico.”
Fa la stessa cosa nella sua autobiografia La vita senza fard nella quale racconta la vita (e le difficoltà di una donna che cresce da sola 4 figli) fino ai 40 anni, quando trova il coraggio di credere in se stessa e pubblicare il primo libro.
Non crede più nel concetto di négritude di Aimé Césaire e la sua esperienza in Africa le ha insegnato che non è la pelle da sola a determinare l’identità.
“Mentre vivevo in Africa ho compreso con chiarezza come il colore della pelle non sia l’elemento più importante. È ben altro: devi condividere una cultura, una religione e tradizioni. Altrimenti sei considerato uno straniero.”
Maryse Condé era molto conosciuta anche negli Stati Uniti, dove ha vissuto per vent’anni a New York e diretto un centro di studi francofoni alla Columbia University, insegnando anche a Berkeley e Harvard.
“Ho sempre lavorato con lei nelle sue varie case editrici e ho ammirato profondamente la sua influenza e il suo coraggio. Ha ispirato tanti scrittori a fare il grande passo e a lottare con lei”, ha dichiarato all’Afp il suo editore, Laurent Laffont.
Ad oggi si diceva più vicina alle posizioni del brasiliano Mario de Andrade che parla di teoria del cannibale: ispirandosi alla popolazione indigena tupì, secondo cui si assimilava la forza del conquistatore cibandosene, lo scrittore elabora la metafora del métissage culturale.
Maryse la trasla alla letteratura e si definisce onnivora e cannibalesca. Non a caso ha riscritto in chiave creola proprio il romanzo che da bambina le fece comprendere che voleva fare la scrittrice, Wuthering Heights, con il titolo Windward Heights.
Chi glielo aveva prestato l’aveva smontata dicendole che la gente come lei non poteva riuscirci. A Maryse è rimasto il dubbio se intendesse una donna, una nera o una persona proveniente da un paese così lontano e tanto piccolo. Forse tutte e tre. Lei però c’è riuscita e oggi è considerata una delle maggiori esponenti della letteratura post-coloniale conquistando nel 2018 anche il New Academy Prize che quell’anno prese il posto del Nobel non assegnato.
Ricevendo il premio la scrittrice disse: “La Guadalupa è un piccolo paese, importante per noi che ci siamo nati, ma ricordato solo in occasione di uragani e terremoti. Sono felice che il nostro paese sia ora conosciuto anche per altri motivi, per questo premio letterario che sono davvero orgogliosa di ricevere”.
Nel 2020, il presidente francese Emmanuel Macron ha ricevuto la scrittrice all’Eliseo assegnandole la massima decorazione della Legion d’Onore e ha dichiarato: “Maryse Condé mi ha insegnato l’Africa”.