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Diagnosi errata del medico, cosa può fare chi ne subisce le conseguenze?

In caso di diagnosi errata è possibile richiedere il risarcimento dei danni subiti dimostrabili e riconducili all’errore medico

Cosa succede se un medico sbaglia la diagnosi? È una delle domande che si pongono le vittime di malasanità quando subiscono danni per colpa medica, o i familiari di pazienti morti perché i medici avevano effettuato una diagnosi sbagliata. Scopriamolo insieme!

Errata diagnosi del medico e risarcimento danni

Quando il medico sbaglia una diagnosi si possono verificare conseguenze devastanti per i pazienti e i loro familiari, soprattutto quando non riesce ad identificare correttamente una malattia (per errata, omessa o tardiva diagnosi), i pazienti rischiano infatti di subire trattamenti inadeguati, ritardi nella cura, danni permanenti alla salute o il decesso.

Come ci si deve comportare con una diagnosi errata da parte di un medico? – Pexels @Павел Сорокин – Museodiocesanotorino.it

 

Ci sono diverse ragioni per cui gli errori di diagnosi possono verificarsi, tra queste ci sono:

  • la complessità delle condizioni mediche
  • la somiglianza dei sintomi di diverse malattie
  • la mancanza di accesso a test diagnostici appropriati
  • mancanza di comunicazione tra i membri del team medico

Se dall’errore di diagnosi del medico il paziente riporta lesioni o il decesso, l’ospedale dovrà risarcire il paziente che ha riportato lesioni o i familiari del paziente morto. Il paziente ha 10 anni di tempo per chiedere il risarcimento, mentre i suoi familiari hanno solo 5 anni di tempo.

La richiesta di risarcimento danni per errata diagnosi del medico potrà trovare accoglimento se, tramite una perizia medico legale, verrà provato che il medico aveva la possibilità di effettuare una corretta diagnosi e che, se avesse effettuato una corretta diagnosi, il paziente non avrebbe riportato lesioni o la morte.

Con la sentenza della Corte di Cassazione Penale che ci accingiamo a riportare nei paragrafi che seguono (n. 15786/2022), sono stati affermati importanti principi giuridici sulla colpa penale del medico che sbaglia la diagnosi.

Intanto la Corte di Cassazione ha affermato che “in tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi“.

Inoltre, è stato detto che “risponde di omicidio colposo per imperizia, nell’accertamento della malattia, e per negligenza, per l’omissione delle indagini necessarie, il medico che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale (ossia sintomi che possono far pensare a più di una patologia), rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente”.

A tal proposito la Corte di Cassazione ha ricordato un caso di omicidio colposo del medico che, visitando un paziente che riferiva dolori addominali alla fossa iliaca sinistra, aveva proceduto solo ad un esame obiettivo, limitandosi agli accertamenti strumentali di base, con somministrazione di terapia medica per via endovenosa a mero scopo analgesico e dimissioni, senza considerare l’ipotesi di aneurisma aortico, riscontrabile con una semplice ecografia (Sez. 4, n. 26906 del 15/05/2019).

Ecco altro caso di errore diagnostico trattato dalla Corte di Cassazione Penale Sezione IV con la sentenza n. 15786/2022: due medici sono stati imputati davanti al Tribunale di Larino per rispondere del reato di omicidio colposo sanitario perché, per imprudenza, negligenza e imperizia, cagionavano la morte di un paziente avvenuta per “insufficienza cardio circolatoria in soggetto sottoposto ad intervento di riparazione aortica a cielo aperto per rottura di aneurisma dell’aorta addominale”.

In particolare, il primo, nella qualità di medico in servizio presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (Omissis), e la seconda nella qualità di cardiologa presso il suddetto Ospedale, non si attenevano, nello svolgimento della propria attività, alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica; omettevano di effettuare una corretta diagnosi e una corretta valutazione del quadro clinico manifestatosi in relazione alla sintomatologia accusata dal paziente sul lato sinistro dell’addome (“Dolore addominale in ipocondrio lato sinistro”), in occasione del primo accesso, paziente che veniva dimesso con la diagnosi di “Ipertensione arteriosa”, senza effettuare un ulteriore approfondimento diagnostico idoneo a rilevare la presenza di un aneurisma letale (situazione poi correttamente accertata in occasione del secondo accesso presso il medesimo nosocomio, la quale ha comportato la necessità di un trasferimento di urgenza presso altro Ospedale, struttura idonea per le cure del caso).

Nell’editto accusatorio veniva altresì evidenziato che le condotte omissive sopra descritte, laddove adeguatamente tenute, avrebbero determinato una corretta diagnosi ed evitato l’evento morte, così come verificatosi, ovvero determinato un evento morte diverso o comunque differito nel tempo.

Il Tribunale aveva condiviso le conclusioni cui era pervenuta la perizia medico legale: la morte era attribuibile ad insufficienza cardiocircolatoria in soggetto sottoposto ad intervento di riparazione aortica a cielo aperto per rottura di aneurisma dell’aorta addominale, affetto da ipertensione arteriosa, miocardiosclerosi e portatore di bioprotesi valvolare aortica.

Per i periti i sanitari non si attennero alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, omettendo l’esecuzione di un esame obiettivo completo e di approfondimenti diagnostici indispensabili al raggiungimento di una corretta diagnosi; tuttavia non era possibile assumere che una diagnosi correttamente impostata al momento del primo ricovero, e un eventuale trattamento chirurgico in elezione, avrebbero evitato, ogni oltre ragionevole dubbio, il decesso del paziente. In base a tale perizia, il Tribunale di Larino, pur riconoscendo l’errore diagnostico, pronunciava sentenza.

Il giudizio di appello ritiene i medici responsabili

La Corte di appello di Campobasso, in riforma della sentenza di assoluzione del Tribunale di Larino nei confronti dei medici, appellata dalla parte civile, passata in giudicato agli effetti penali, affermava la responsabilità civile dei predetti, condannandoli in solido tra loro al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Come ci si deve comportare con una diagnosi errata da parte di un medico? – Pexels @Pixabay – Museodiocesanotorino.it

 

La Corte di Appello, nell’affermare la responsabilità degli imputati, sottolineava in primo luogo come non fosse mai stato messo in discussione dai periti l’evidente errore diagnostico compiuto nella superficiale diagnosi effettuata sul paziente, tanto che anche il Tribunale ne aveva pacificamente dato atto, avendo i sanitari omesso sia l’esame obiettivo con palpazione sia ogni altro esame diagnostico, pur a fronte di un’osservazione del paziente che richiedeva un approfondimento.

La Corte considerava che – in base ai differenti tassi di mortalità in caso di intervento di riparazione di aneurisma intatto ovvero per un’operazione non in elezione, e cioè per libera scelta diagnostica, ma anche con aneurisma rotto, come nel caso di specie – nel paziente la percentuale di riuscita dell’intervento di riparazione dell’aneurisma in elezione avrebbe sfiorato il 60%; riteneva dunque del tutto contraddittorie e comunque riguardanti una questione strettamente giuridica sulla quale i periti non dovevano pronunciarsi (non avendone le specifiche competenze) le conclusioni nelle quali si richiamava da parte degli esperti il principio di diritto “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”.

Aveva dunque errato il primo giudice laddove aveva pedissequamente riproposto in sentenza le conclusioni dei periti senza criticamente vagliarle.

Proprio sulla base delle conclusioni dei periti, era ragionevole inferire che l’evento morte avrebbe avuto diverse modalità di verifica e differenti e più estesi tempi di sopravvivenza, qualora i due medici imputati avessero praticato una corretta diagnosi come pacificamente emerso dall’intera istruzione dibattimentale svolta.

La correttezza della diagnosi – prosegue la Corte di Appello – avrebbe infatti avuto un elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica di salvare la vita del paziente, ovvero anche solo di ritardare l’evento morte e limitare le conseguenze dannose della patologia, il che equivale a dire che tra l’errore diagnostico commesso e l’evento morte sussiste un chiaro nesso di causalità sotto il profilo giuridico, prima ancora che fattuale.

La Corte di Cassazione analizza congiuntamente i motivi di ricorso degli imputati che contestano il ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata circa la condotta gravemente colposa attribuita ai sanitari che presero in cura il paziente, omettendo entrambi, nelle rispettive qualità contestate nell’editto accusatorio, di approfondire la situazione clinica del paziente e di formulare la corretta diagnosi. Tanto è sufficiente per ritenere la cooperazione colposa, ciascun medico essendo consapevole della condotta dell’altro.

Per il resto le doglianze dei medici si risolvono in deduzioni di mero fatto, non proponibili in sede di legittimità, a fronte peraltro di una esposizione, da parte della Corte di Appello, assai chiara e dettagliata dell’intera vicenda con particolare attenzione al parere scientifico formulato dagli esperti.

Per la Corte di Cassazione è “indiscutibile” l’errore diagnostico e le conseguenti errate condotte omissive. Sul punto le sentenze di merito sono assolutamente conformi.

La Corte di Appello è pervenuta ad una decisione difforme rispetto a quella del primo giudice per aver correttamente applicato i principi della sentenza “Franzese”, cui nel tempo si sono uniformate le sezioni semplici di questa Corte di legittimità.

Quindi la Corte di Cassazione ha fatto uso dei principi che abbiamo sopra richiamato, ha ritenuto inammissibile il ricorso degli imputati ed ha confermato la loro condanna.

Giulia De Sanctis

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